domenica 4 agosto 2013

Danza e Rinascimento

Alessandro Pontremoli, Danza e Rinascimento - Cultura coreica e "buone maniere" nella società di corte del XV secolo (Ephemeria: Macerata, 2011).


Il binomio danza e Rinscimento non è molto popolare. Eppure è da qui, da questo binomio che la storia della danza ha vissuto una svolta e gli storici hanno iniziato ad indagare quelle che, nel Quattrocento, "non sono oggetti, ma pratiche, che ci sono giunte soprattutto attraverso i trattati, (...) traccia di evidenti processi di conservazione e trasmissione di azioni etichettate come danze".

Il volume è il frutto di venticinque anni circa di studio che Pontremoli ha condotto su questo argomento e costituisce una sintesi puntuale della sua ricerca, che conferma alcuni risultati e ne trasforma altri alla luce di nuove scoperte fatte nel corso degli anni. Non è solamente un testo sulla danza del XV secolo, ma è anche una rilfessione considerevole sulla storia della danza.

Di particolare interesse è, in questo senso, l'introduzione che costituisce un excursus di ampio respiro sulla danza "come ostensione del corpo entro parametri di volta in volta ridefiniti da coordinate spazio-temporali, culturali, storiche, sociali e comunitarie". Per questo si sostanzia come evento "portatore di senso" e studiarla dl punto di vista storico vuol dire esplorare il passato per comprendere come questo evento abbia avuto luogo, secondo che modalità e che significato esso abbia avuto. Pontremoli enumera poi alcuni concetti chiave che sono stati particolarmente significativi nel corso dei suoi studi: contesto, che collega la danza ad altre pratiche ed eventi, senza isolarla in una visione prettamente formalista; o sguardo, che presuppone una consapevolezza del proprio punto di vista di studioso, della propria formazione e di come questa possa influenzare la ricerca che si porta avanti; o corpo, che ha un ruolo fondamentale nello studio di quest'arte, per cui "le testimonianze documentarie sulla concezione e l'uso del corpo in un determinato contesto storico, culturale e sociale" sono davvero importanti.

Nel Quattrocento due sono i trattatisti più conosciuti, Domenico da Piacenza e Guglielmo Ebreo da Pesaro. Entrambi condividono "una comune costuzione teorica" indirizzata verso un modo di concepire la danza come una vera e propria arte. Il loro lavoro è rivolto a principi e monarchi che praticano la danza all'interno dei "contesti festivi" non tanto per lasicarsi andare a danze particolarmente sfrenate (la danza di corte non si può certo definire tale), quanto piuttosto per mostrare il loro status sociale e la loro capacità di autocontrollo.

Domenico da Piacenza  rappresenta il capostipite dei trattatisti. Probabilmente era un ballerino conosciuto, ma altrettanto probabilmente non scrisse fisicamente lui il trattato De arte saltandi et choreas ducendi, che risulta "vergato da almeno sei amanuensi" ed è suddiviso in due parti, una teorica che vanta riferimenti anche all'Etica Nicomachea di Aristotele, ed una pratica che presenta una serie di danze. Grazie a questo trattato l'arte coreutica inizia ad essere vista come un'arte di pari dignità rispetto alle altre arti liberali come la musica, in quanto non ha solo a che fare con il movimentio del corpo ma anche con la capacità della mente di apprendere e rispettare delle regole. A questo proposito possiamo considerare quest'opera, come anche quella di Guglielmo, come parte integrante di quel processo di "formalizzazione dei saperi" della cultura e società umanistico-rinascimentale che contribuisce alla standardizzazione delle pratiche coreutiche nelle corti italiane e non solo. Pontremoli ci mostra questo processo con l'esempio della piva, una danza popolare che viene 'ingentilita' nel momento in cui entra a far parte delle danze di corte.

Il trattato di Guglielmo, De pratica seu arte tripudii, può considerarsi un vero e proprio "manuale di pedagogia della danza, concepito per l'educazione del principe". A differenza di quello di Domenico, è impreziosito da varie miniature e intriso di riferimenti alla filosofia neoplatonica filtrata attraverso il pensiero di Marsilio Ficino. Sempre poi discostandosi da Domenico, Guglielmo esalta l'artificio parlando del "procedere aeroso del movimento, ottenuto con un'esecuzione, in prevalenza in mezza punta". Compone delle danze astratte e, se da un lato fa derivare la danza dalla musica, dall'altro parla anche "del danzare senza suono", che Pontremoli riconduce ad un tipo di danza senza musica di tipo magico o rituale che si eseguiva in circoli chiusi. 

Accanto all'analisi del lavoro di questi due trattatisti, Pontremoli inserisce un sofisticato discorso sull'articolata simbologia legata agli abiti di chi si cimenta con la danza di corte, sulla questione della pratica coreutica che emerge dai trattati e non solo, sul ricorrente richiamo alla natura (anche magica) e alla mitologia classica e su di un prezioso panorama sulla nascita della storiografia della danza in età moderna, con particoalre attenzione alla formazione del "senso della storia", del passare del tempo e della capacità che già all'epoca si aveva di storicizzare gli eventi.

4 agosto 2013

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