lunedì 26 agosto 2013

Burattini, robot e la poetica del confronto a Civitanova Danza

Burattini, robot e la poetica del confronto a Civitanova Danza

Teatro Annibal Caro, Civitanova Alta

Teatro Rossini, Teatro Cecchetti, Civitanova Marche

20 luglio 2013

Civitanova Danza, il festival capisaldo della danza contemporanea e non solo nelle Marche e in Italia, quest'anno compie vent’anni. Enrico Cecchetti, a cui il festival è dedicato, sarebbe stato contento dei risultati raggiunti dalla sua città di origine. Cecchetti, oltre ad essere stato un ballerino apprezzatissimo per le sue doti tecniche, fu anche un maestro di danza che per molti anni insegnò presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Fra i suoi allievi vi furono ballerini di fama internazionale come Anna Pavlova, Vaclav Nijinskij, Leonide Massine, Ninette de Valois, Marie Rambert e George Balanchine.
Virgilio Sieni, foto Sailko.


Gli appuntamenti del festival di quest’anno sono stati contrassegnati da incontri con esperti del settore, esibizioni delle scuole di danza della città, un campus con docenti della Scuola di Ballo della Scala e dell’Opéra de Paris, oltre che dagli spettacoli veri e propri. Spettacoli che sono stati raggruppati in due maratone con più offerte, fra le quali spiccava l’attesa nuova coreografia di Blanca Li e la prima assoluta di Zappalà Danza, e due serate a tema unico, una, Romeo and Juliet di Aterballetto da tenersi presso l’Arena Sferisterio di Macerata (serata che però, a causa del taglio dei fondi FUS - Fondo Unico dello Spettacolo - per la Regione Marche, è stata annullata) e l’altra, La notte della stella con Svetlana Zakharova, al Teatro Rossini.


Il 20 luglio, in particolare, è iniziato con un incontro dedicato al tema “Emergere/essere giovani” con Francesca Bernabini di Federdanza, Selina Bassini di Cantieri Danza e Virgilio Sieni, coreosofo fra i più affermati del panorama nazionale, nonché, da quest’anno, direttore artistico della Biennale Danza di Venezia. Se le prime due relatrici hanno fornito, pur con i loro differenti punti di vista, una prospettiva di carattere tecnico-pratico su come un giovane danzatore possa muoversi in Italia per emergere, Sieni, da affabulatore d’altri tempi qual è, ha deliziato il pubblico con la sua prospettiva dal didentro e con il suo linguaggio visionario. Secondo il coreosofo fiorentino un’importanza fondamentale riveste il rapporto col pubblico che è riconducibile ad un rapporto con l’alterità e altrettanto importante è la figura dell’insegnante di danza che dovrebbe quasi trasformarsi in un maestro di bottega come ne esistevano una volta, per recuperare i significati profondi del fare danza nel senso più ampio del termine, significati che egli denomina con un’espressione molto evocativa, “fessurazioni spirituali”.


Locadina dello spettacolo Pinocchio, foto Virgilio Sieni.
A questo dibattito, moderato dal direttore artistico dell’Amat, Gilberto Santini, è seguito un momento danzante delle scuole di danza della città, in Piazza XX Settembre. Poi via, si è corso verso l’inizio della maratona su di un bus navetta che ci ha condotti a Civitanova Alta dove ci attendeva l’assolo Pinocchio di Virgilio Sieni, spettacolo che doveva andare in scena per ultimo ma che è stato invece anticipato. Protagonista è un danzatore non vedente, Giuseppe Comuniello, che impersona un Pinocchio “leggermente diverso”, come recita il sottotitolo dell’opera. 


Leggermente diverso non soltanto perché è un non vedente a danzare, ma anche e soprattutto perché Sieni trasforma la celebre fiaba di Collodi in un percorso “sulla nascita e la crescita dell’uomo alla ricerca dell’origine dei sensi”. E Pinocchio, come si evince dal programma di sala, è anche Geppetto che “è un non vedente che da alcuni anni si prepara alla danza”. Quindi il livello del racconto si sposa poi con un livello che va oltre il racconto stesso e che si ispira forse alla vita di Comuniello in un gioco ad incastri lieve e soave. 


Il palco è pieno di oggetti ideati da Antonio Gatto fra cui un pannello sonorizzato sul quale Comuniello farà dei disegni. Comuniello indossa un paio di orecchie da asino ed un naso lungo. Danza una danza di gesti a volte minuti ed eleganti, altre volte più decisi e marcati; in un momento sul proscenio si accarezza il braccio leggerissimamente ad occhi chiusi per poi eseguire dei giri a scatti e andare a terra. Durante la coreografia su di uno schermo in fondo appaiono delle scritte dirette al pubblico, “il centro è più o meno qui”, “la cassa è più o meno lì”, “la direzione verso il centro è più o meno questa” per concludersi con “venite dietro a me e non abbiate paura”. Queste scritte sembrano evidenziare la percezione forse imprecisa dello spazio da parte del protagonista, ma sembrano anche sottolineare che il suo mondo è un bel mondo, un mondo che egli ci invita a scoprire senza avere timore. 


La sensazione è che le varie sezioni della coreografia, il programma di sala ne enumera quattro, siano incompiute e che la coesione cinetica del pezzo sia un po’ lacunosa rispetto a quello che promette. Comuniello interagisce inoltre direttamente con il pubblico in un paio di occasioni, la prima chiamando quattro volontari solo per farsi sorreggere mentre lancia dei petali rossi e mentre ha una specie di crisi epilettica, la seconda chiamando una persona che lo aiuti a legarsi dei mattoncini sotto i piedi, a mo’ di scarpe. In questo secondo caso l’interazione è più riuscita dato che il nostro Pinocchio/Geppetto veste poi questa persona con un k-way e conclude la danza caricandosela sulle spalle. 


Siamo in ritardo, dobbiamo tornare a Civitanova Marche, ci avviciniamo al punto dove il bus navetta dovrebbe aspettarci, ma il bus non c’è in quanto era pieno e dovrà fare un altro viaggio per venire a prenderci. Il tempo dell’attesa diviene il tempo dello scambio di opinioni che l’assolo ci ha procurato, forse un po’ di delusione, ma anche la sensazione che Sieni intenda esplorare qualcosa che vada oltre il fare danza classicamente inteso, qualcosa che ci riconduca al significato dei gesti e alla loro poesia.


Una scena di Robot, foto di Magali Bragard.
La storia del burattino di Collodi evoca associazioni con altri automi antropomorfi che popolano il mondo della danza, come Coppélia (1870) di Arthur Saint-Léon e Petrouchka (1911) di Michel Fokine, come a mostrare il legame sottile che unisce il mondo della danza al mondo artificiale degli automi, nella ricerca della perfezione di un movimento o di una posa.
 

E Robot, che va in scena al Teatro Rossini, si ricollega idealmente proprio a questa tematica. L'autrice è Blanca Li, coreosofa spagnola trapiantata in Francia. È un salto quantico rispetto alla delicatezza dell’opera di Sieni. È un lavoro di gruppo dove i danzatori dal fisico scultoreo si muovono spesso ad un ritmo incalzante. Vi sono degli oggetti meccanici sullo sfondo che scopriamo presto essere impianti musicali del gruppo Maywa Denki che di volta in volta si animano per accompagnare la danza. 


Blanca Li non è nuova a questo argomento data la sua esperienza come coreografa di video musicali come quello celebre dei Daft Punk, Around the World (1997), dove figuravano quattro danzatori nel ruolo di robot, ma in questo caso Li ci propone dei robot veri, piccole creature umanoidi, i NAO, prodotti dalla Aldebaran Robotics, che si confrontano sul palco con la complessa articolazione del movimento eseguita dagli otto danzatori della compagnia. Si tratta di un esperimento interessante ma solo parzialmente riuscito, dato che i NAO spesso cadono in avanti spezzando un po’ la magia della loro presenza in scena. Inoltre Li sceglie di renderne uno protagonista di una scenetta di seduzione piuttosto ridondante e stereotipata. I danzatori sono molto bravi nell’eseguire la partitura coreografica, anche se a volte ricadono in uno stile un po’ rétro. Le scenografie di Pierre Attrait e le luci di Jacques Chatlet sono magnifiche visioni che contribuiscono con efficacia a creare l’atmosfera quasi cibernetica dell’opera.



Masako Matsushita in De Visu in Situ Motus, foto Luigi Gasparroni.
Con gli occhi ricolmi di robottini e di sfavillanti coreografie, ci accingiamo, un po’ stanchi ad andare verso il Teatro Cecchetti dove si tiene l’ultimo appuntamento della serata, De Visu in Situ Motus di Masako Matsushita. E di nuovo ci troviamo di fronte ad un cambiamento di atmosfera, dove sedici persone di varia struttura fisica sono allineate in fondo al piccolo palco, indossando dei jeans e delle magliette colorate. Sono tutti scalzi e di schiena. Sul palco poi arriva Gabriella Biancotto, vestita di un top e pantaloni blu e presto la raggiunge Masako Matsushita, vestita in modo simile ma con abiti di colore grigio chiaro. Le due donne entrano in relazione fra loro, a terra si avvinghiano in un abbraccio che le porta anche a spostarsi come se fossero un unico corpo. Il tema trattato è quello del confronto e viene delineato in modo originale e stimolante. Nel frattempo le sedici persone in fila si tolgono la maglietta e iniziano ad incurvare la schiena molto lentamente, creando un sublime contrappunto. La coreografia si sviluppa ulteriormente dando vita a nuove immagini suggestive come quella che vede Matsushita prendere delle lunghe strisce di stoffa nera dalla posizione dove si trovano le sedici persone allineate che man mano se ne vanno. Forse l’opera necessita di una messa a punto, di un’ulteriore tensione verso la sintesi, ma devo dire che è il finale ideale per una maratona di danza di alto livello. 


26 agosto 2013

Nessun commento:

Posta un commento